Autunno nelle Langhe: colori e profumi.

Una idea dei colori si ricava dalle fotografie, mentre per ora sfortunatamente non è possibile farsi una idea dei profumi anche se quello del tartufo (trifula in dialetto piemontese)) è molto forte.

I colori come i profumi sono “Esperienze sensoriali” e si sperimentano solo dal vivo …

Chi cerca/trova i tartufi? Un duo indissolubile “il trabuj” (cane addestrato alla ricerca del tartufo in dialetto piemontese) e il “trifulau” (cercatore di tartufi in dialetto piemontese).

Questo è il periodo giusto, le colline sono colorate di giallo e rosso in tutte le tonalità, ci sono i tartufi (le trifule) e ci saranno per una parte dell’inverno, c’è la “Fiera internazionale del tartufo bianco ad Alba” fino al 27 Novembre che richiama persone da tutti i continenti, qui cerchiamo di capire qualcosa del “trifulau” ora e la prossima del “trabuj”.

Giovanna

Il “mestiere” del Trifulau 

Fin da ragazzo, mi pareva che andando per i boschi senza un cane avrei perduto troppa parte della vita e dell’occulto della terra.
(“La casa in collina” di Cesare Pavese)

…. a quei tempi il mestiere di trifulau era praticato quasi esclusivamente da contadini, i quali, in autunno, al termine della vendemmia e della semina del grano, si dedicavano alla ricerca dei tartufi per guadagnare qualche soldo in più e magari per supplire ad una annata “grama”.

Questo mestiere non si poteva improvvisare: occorreva avere una buona resistenza fisica, per sopportare la fatica di lunghe camminate dopo una pesante giornata di lavoro, ma anche coraggio, per avventurarsi da soli, di notte, per valli e colline, dove si potevano fare brutti incontri.

Trifulau & cani

L’andar per trifule (tartufi) è anche un modo di vivere alcuni momenti in totale libertà, immersi nel silenzio della natura, in un periodo dell’anno in cui i colori e gli odori autunnali ti avvolgono; è appagante vedere il cane “lavorare”, ammirare la sua perizia nel muoversi con abilità e destrezza, fiutare il terreno, selezionare ogni odore e rispondere con prontezza ai comandi. È prezioso poter condividere tutto questo con l’amico inseparabile!

Il trifulau è un personaggio solitario, molto riservato, che vive un legame molto stretto con il suo cane e con la natura.

Durante la cerca, essi diventano una cosa sola e, ogni volta, si ripete un rito antico, fatto di sguardi, di gesti e di incitamenti, che esplodono in una gioia incontenibile e liberatoria al momento del ritrovamento del tartufo (trifula).

Trifulau & caniNormalmente il trifulau si muove di notte, per le condizioni atmosferiche più adatte alla cerca, perché il cane è meno disturbato, perché il buio e la nebbia proteggono da occhi indiscreti. E, quando c’è la neve, prima di avvicinarsi a un posto segreto, compie lunghi giri, lasciando orme in diverse direzioni, in modo da confondere gli altri cercatori, a volte simulando il ritrovamento vicino ad alberi che non producono trifule (tartufi)!

Il trifulau cammina con molta agilità e perizia, superando ogni tipo di ostacolo, conosce a memoria ogni fosso, ogni pendio. Sa quando crescono i tartufi, quali sono gli alberi che “li danno”, come trattare il suo cane e come ricompensarlo, e sa, infine, che un bel tartufo vale una fortuna!

Natale Romagnolo

Trifulau & cani

Alla Casa del Trifulau , potrete vivere l’emozione di “andar per tartufi” e partecipare direttamente al rito della ricerca del tartufo, in compagnia del Trifulau e dei suoi inseparabili cani.

Le parole scritte in corsivo sono in dialetto

Sanguinelli:
Lactarius deliciosus
(fungo)

A Detina piaceva andare a funghi, conosceva le loro abitudini, i giorni buoni e le piante sotto le quali nascevano. La stagione delle matote (boleti) era finita ed era stata gratificante: ne aveva messe via una bella scorta e anzi aveva dovuto preparare una damigiana più capiente. Arroventato un cerchio della stufa l’aveva posizionato alla base del collo della damigiana con le molle, il vetro si era staccato di netto e l’apertura era risultata liscia e sicura.

I funghi in damigiana si conservano in una salamoia, fatta con acqua- aceto-sale bolliti, usata solo fredda. Oggi Detina voleva andare per Tron (Sanguinelli) e stava calzando le scarpe consumate quando il cane legato in cortile abbaia con poco impegno. Significava che la persona che arrivava il cane la conosceva e infatti subito si sente la voce di Pinota  che chiede: è permesso? Ecco, addio funghi.

Poi però Detina decide di non lasciarsi sopraffare dagli eventi senza combattere e manda una delle figlie ricordandole ancora una volta le piante sotto le quali cercare. I Tron nascono sotto i pini e sono vivaci, colorati di arancione; nella parte inferiore hanno una sorta di corolla leggermente piegata come a formare un orlo.

Pinota era una donna tutta nera: vestito, grembiule, ciabatte, foulard, pelle del viso e unghie. La natura nei suoi confronti non si era impegnata più di tanto, non era vecchia ma aveva già le mascelle cascanti e due canini che sporgevano dalle labbra a mò di vampiro.

Pinota abitava in una casa bifamiliare ed era perennemente in lite con la coinquilina Angelina per via del pollame. Anche quella mattina, secondo Pinota, si era ripetuto il solito copione: quella masca (dispettosa) di Angelina era andata da lei a reclamare un pulcino. Pinota si era difesa: “i pulcini che sono sotto il grumet (una sorta di campana rovesciata fatta con rete metallica) sono tutti miei”. E Angelina: “adesso alzi il grumet e vediamo chi ha ragione”. Appena la nidiata era stata liberata Angelina aveva lanciato un “pio-pio” e il pulcino ingrato era andato da lei. Eppure Pinota al mattino aveva contato e ricontato i pulcini e non aveva riscontrato anomalie. Ma Pinota dimenticava spesso di aver frequentato per 4 anni la prima elementare, senza vedere nemmeno l’ombra della ammissione alla seconda classe.

Intanto che Pinota faceva il resoconto di quella mattina disgraziata, Detina aveva preparato la base per la bagna di Tron: un soffritto di aglio e prezzemolo, un cucchiaio di conserva e un pentolino di acqua con la quale accompagnare la cottura. Quando la figlia di Detina era tornata Pinota era ancora in cucina e Detina si era sentita in dovere di spartire a malincuore parte della raccolta: sospettava che l’avesse fatto apposta a tirare per le lunghe. Pinota andava a casa con “la bagna d’Tron”: il pranzo era pronto.

Detina si sentiva solidale con Angelina.

Marinella Bera
I nomi: Detina (Benedetta), Pinota (Giuseppina)

Il Vermouth è prodotto tipico del Piemonte, amato-conosciuto-consumato in questa regione soprattutto da solo come aperitivo nella versione Rosso e Secco (Dry), come piacevole bevanda a tutte le ore nella versione Bianco (semidolce, dolce) Ambrosia. La versione Vermouth Dry è conosciuta in tutta la terra, amatissima negli USA e con l’inserimento di una oliva verde e ghiaccio diventa l’arcinoto Martini Dry. Tutte le versioni sono utilizzate nella preparazione di cocktails attualmente ritornati di moda. I giovani lo conoscono poco e noi “maturi”? Siamo in grado di rispondere alle domande basilari:

Che cosa è il Vermouth e dove/quando nasce?
Come si produce?

Propongo di seguito una “galoppata” veloce di risposte alle domande di base per fugare gli imbarazzi, mentre per approfondimenti leggete ai link dei produttori che troverete più avanti..

Che cosa è il Vermouth, dove e quando nasce

Il Vermouth è un vino aromatizzato.

I vini aromatizzati hanno origini antichissime. Quattro secoli prima di Cristo i Greci veneratori di Dioniso riempivano otri di trimma, vino aromatizzato con erbe la cui ricetta è purtroppo andata perduta.
Plinio il Vecchio, naturalista latino nato nel 23 d.C. ci ha lasciato una lunga lista di vini aromatizzati a scopo curativo, mentre Marco Gavio Apicio più o meno nello stesso periodo ma con scopi diversi, nel De re coquinaria scrive del Conditum Paradoxum, vino cotto aromatizzato con miele e spezie, e del Absinthium Romanum, che conteneva oltre chiaramente all’Assenzio, datteri, foglie di Nardo, Zafferano e Mastice (resina del Lentisco).

Facciamo un lungo salto di una dozzina di secoli per arrivare ad Arnaldo da Villanova, medico spagnolo nato a Valencia nel 1240, consigliere di re e papi, che in un curioso libro dal titolo Liber de Vinis parla di una lunga lista di vini aromatizzati molto curiosi. C’è il Vino Cordiale, con Borragine, Melissa e spezie, che ripulisce il sangue e trascina via le cattive idee, il vino di Buglossa, che corregge il cervello compromesso dalla fumosità della malinconia, il vino d’Issopo che libera le vie aeree e il cui utilizzo regolare è adatto ai bambini, e ovviamente il vino d’Assenzio, i cui effetti benefici sul corpo e sullo spirito riempiono una pagina intera e si conclude così

Bisogna considerare che secondo la tradizione che riporta a Macrobio, ci fu un momento in cui si tenevano in così grande considerazione le piante di Assenzio che si dava da bere il loro succo ai capi degli eserciti prima della battaglia. Un buon presagio che assicurava salute e vittoria. Che Dio li conceda a sua Maestà il Re e a noi

Oltre a ciò, Arnaldo da Villanova chiarisce un punto fondamentale che va sottolineato: per fare un buon vino aromatizzato occorre partire da un buon vino base. Niente sciacquatura di botti, niente scarti di produzione, vino buono.

Veniamo ai giorni nostri, precisamente al 1786, quando Antonio Benedetto Carpano a Torino battezza il Vermouth prendendo il nome dal tedesco Wermut (Artemisia), e collocando quindi in Piemonte la nascita ufficiale di questa bevanda spiritosa.

Il Vermouth di Torino

Paesaggio di Torino (Mole)

Dal 2019 l’Unione Europea infatti riconosce il Vermouth di Torino (o Vermut di Torino) attraverso un vero e proprio disciplinare che è possibile scaricare dal sito eAmbrosia (registro delle indicazioni geografiche europee, dove potete trovare la colatura di alici di Cetara, il Melacotòn de Calanda e il Vermouth di Torino). Tra le altre cose scopriamo leggendolo che l’Artemisia (che deve essere presente almeno in 0.5g per litro di prodotto finito) deve necessariamente provenire dal Piemonte, e che dalla stessa regione deve provenire almeno il 50% del vino utilizzato nel caso in cui si voglia attribuire la menzione “superiore”.

Come si produce

  • Una mistura di erbe e spezie viene messa a macerare nel vino oppure in una soluzione idroalcolica. Talvolta vengono utilizzati anche ingredienti distillati.
  • Il prodotto della macerazione viene torchiato per estrarre il più possibile dalla materia prima.
  • Viene aggiunto il dolcificante (solo zucchero, miele o caramello secondo il disciplinare).
  • Vengono aggiunti vino ed alcool per la fortificazione e per impedire ulteriori fermentazioni.
  • Viene filtrato e fatto riposare.

Vermouth is therefore the end result of a recipe with a thousand variables: the base wine used, the spices and herbs, theIl Vermouth è quindi frutto di una ricetta con mille variabili: il vino base utilizzato, le spezie e le erbe, la quantità e il tipo di zucchero, la fortificazione più o meno spinta. Secondo me l’unico modo per capirci qualcosa è assaggiarne il più possibile!! Troppo lungo l’elenco dei produttori che comprenda artigiani poco noti e notissimi, medie-grandi aziende ben note, comunque etichette di ottimi prodotti, quindi segnalo alcune etichette che piacciono a me.

Produttori, Etichette e caratteristiche

  • Chazalettes, Extra Dry, Cocconato d’Asti:
    Bianco, naso di bergamotto, melissa ed erbe alpine, secco, agrumato, elegantissimo, lascia la bocca pulita e fresca. Servito da solo e senza ghiaccio è un grande aperitivo.
  • Chazalettes, Vermouth Rosso della Regina:
    Bellissimo rosso rubino, ciliegia e prugna fanno da sfondo alle erbe amare, alla china, poi chiodi di garofano, liquirizia e anche note balsamiche tra la menta e l’amarena. Bocca elegantissima, equilibrata, suadente, con una leggera nota pungente di pepe e liquirizia sul finale.
  • La Canellese, Vermut Bianco. Calamandrana:
    Realizzato esclusivamente con vino cortese. Naso dolce che ricorda il rosolio, floreale e delicato. In bocca è leggiadro, femminile. La parte amaricante è appena accennata. Una volta questa tipologia di Vermouth era destinata alle fanciulle.
  • Cocchi, Storico. Asti:
    Vino da uve moscato. Ambrato. Naso caratteristico di rabarbaro e china con rimandi da via della seta, arancia amara, macis e cannella. Bocca calda e avvolgente, buona struttura
  • Quaglia Distillery, Berto Superiore Rosso. Castelnuovo Don Bosco:
    Da Barbera (in maggior parte) e Moscato. Naso decisamente amaricante, di china e rabarbaro con un tocco di liquirizia e bocca a contrasto, leggermente dolce, di struttura decisa e finale su leggeri frutti rossi che rimandano alla barbera. Classico.
  • Carpano, Antica Formula. Milano (oggi gruppo Branca):
    Oggi la sede è a Milano, ma questa è la ricetta che Antonio Benedetto Carpano inventò nel 1786 a Torino. Erbe amare, caffè, rabarbaro, fa pensare ad una farmacia di fine ‘700. In bocca compensa una quota di caramello a bilanciare. Corposo e caldo, difficilmente passerebbe inosservato in qualsiasi cocktail.
  • Martini, Riserva speciale: Ambrato. Pessione:
    Da Moscato d’Asti. Color ambrato, floreale di camomilla e leggermente amaricante, contiene quattro diversi tipi di assenzio. In bocca è piuttosto leggero e coerente. Non eccelle in nulla ma con la tonica messa a disposizione per la degustazione è risultato uno dei migliori. Da cocktail.
  • Gancia, Vermouth Rosso. Canelli:
    Da una ricetta dell’800 un Vermouth dall’aroma classico di arancia amara e china. Giocato decisamente più sulle erbe che sulle spezie anche in bocca è piacevole, avvolgente e rotondo. Finisce agrumato. Buono anche da solo.
  • Tosti, Riserva Taurinorum Superiore. Canelli:
    Questo Vermouth si distacca in modo netto da tutti gli altri. Effluvio di spezie dolci orientali, ricorda tantissimo il tè di Natale. Anice stellato, vaniglia, cannella, coriandolo, noce moscata, scorza di arancia e tanto miele. In bocca sembra quasi un moscato passito. Da non perdere per chi ama le spezie e il Natale.
  • Calissano, Vermouth di Torino Rosso Superiore. Alice Bel Colle:
    Da uve Nebbiolo e Cortese di Gavi. Naso intenso di erbe amare, liquirizia, pompelmo e frutti rossi. Il Nebbiolo gli conferisce struttura e lunghezza con un ingresso in bocca dolce e aromatico che sfuma sulla liquirizia e sulla scorza di agrumi.
  • Vergnano, Vermouth di Torino Superiore. Moncalieri:
    Vermouth non troppo intenso, giocato più su note erbacee che speziate, non particolarmente dolce e nemmeno amaro, ha equilibrio e buona qualità. Scorre via leggero, non sai perché ma è già finito.
  • Del Professore, Vermouth Rosso. Piemonte:
    Questo Vermouth affina per un periodo variabile (qualche mese) in botti di legno prima della commercializzazione. Profuma di quegli scaffali di legno nei quali si riponevano le erbe medicinali, fiori di genziana, assenzio, agrumi e vaniglia, il tutto rinfrescato da una bella nota balsamica di menta. Strutturato ma non stanco in perfetto equilibrio dolce amaro, molto lungo, lascia la bocca fresca e piacevolmente amara, molto elegante. Non lo miscelerei con nulla se non un cubetto di ghiaccio nella stagione calda.

Buona scoperta o ri-scoperta del Vermouth di Torino! Il buon bere è CONSAPEVOLE cioè piccole quantità degustate lentamente.

Giovanna

La cucina “langhetta” è ben conosciuta dai professionisti e dagli appassionati, molto apprezzata da tutti quelli che hanno avuto la fortuna di sperimentarla.

La nostra cucina è caratterizzata dalla stagionalità delle materie prime, le più diverse erbe spontanee come diversa è la terra delle zone che compongono il territorio, il tutto sapientemente manipolato in secoli di esperienza in ciascuna famiglia che ha introdotto le variazioni che la rendono “unica”.
Come tutte le cucine tipiche nasce dai prodotti del territorio più poveri, compresi quei prodotti spontanei che si andava a cercare soprattutto nei boschi ma anche nei campi adibiti a pascolo o comunque non coltivati e quindi senza costo d’acquisto, dalla creatività e “dall’arte di arrangiarsi” delle donne che dovevano sfamare tante persone … e qualche volta con l’aiuto del caso.


Nei tempi passati andare a cercare funghi o tartufi, cogliere frutti selvatici, cercare erbe alimentari erano “passioni” o “passatempi” sia degli uomini che delle donne, ciascuno di loro aveva i propri “siti” di cui era estremamente geloso, quasi sempre per queste attività si sottraevano ore al sonno non certo al lavoro.
Ai tempi si vendevano molto raramente i frutti delle ricerche e solo quando erano davvero abbondanti, ciascun “cercatore” fierissimo dei risultati della sua passione li riservava alla propria famiglia, perciò nella nostra cucina molte sono le ricette a base di funghi porcini e ovuli, marmellate squisite di frutti selvatici e i tartufi di ogni stagione erano un complemento unico dei piatti della stagione. In questa situazione fiorivano rivalità e furbizie, da qui situazioni esilaranti e aneddoti che ho chiesto a Marinella Bera di raccontarci naturalmente assieme alle antiche ricette.
Al momento abbiamo: Il sugo di funghi, Il minestrone, Il fritto misto.

Marinella Bera ha la “passione” di cercare e conservare le testimonianze della nostra storia, storia forse minore ma di tutti noi e delle nostre famiglie, perderla ci priverebbe delle nostre radici. Grazie Marinella!

Buon divertimento!
Giovanna

Le ricette di Marinella

Bagna d ‘Tron: sugo di funghi Sanguinelli (Lactarius deliciosus)

Le parole scritte in corsivo sono in dialetto Sanguinelli:Lactarius deliciosus(fungo) A Detina piaceva andare a funghi, conosceva le loro abitudini, i giorni buoni e le piante sotto le quali nascevano.

Fritto misto alla piemontese

Le parole scritte in corsivo sono in dialetto Vai alla ricetta Ricordi Oggi a pranzo viene Sergio, un nipote di Vigina  e porta la morosa per farla conoscere agli zii

Il minestrone

Vigina, già di primo mattino, aveva messo sulla stufa una pentola con l’acqua e a mano a mano che la primogenita portava le verdure raccolte nell’orto

Consiglio di sperimentare le ricette, Marinella è disponibile a fornire consulenza. Ci piacerebbe molto conoscere i risultati, scriveteci!!

Le parole scritte in corsivo sono in dialetto

Vai alla ricetta

Ricordi

Oggi a pranzo viene Sergio, un nipote di Vigina  e porta la morosa per farla conoscere agli zii e ai cugini. Sergio è il figlio di Teresina, una delle cognate di Vigina. Per alcuni anni le due donne, con le rispettive famiglie, avevano vissuto assieme.

Un incubo.

Le due cognate litigavano sempre: Vigina aveva tanti figli e un bell’esaurimento, il medico le aveva detto: “mangia tante uova fresche, appena le galline le fanno vai nel pollaio e bevile” ma Teresina si arrabbiava perché così facendo non si potevano vendere. I vicini, sogghignando, dicevano che nella casa delle due cognate i vetri non duravano più di una settimana.

Teresina aveva solo quel figlio che era cresciuto con i bambini di Vigina. Sergio era sempre ben vestito e a Natale riceveva da Gesù Bambino un sacchetto pieno di Marzapane a forma di frutta colorata, invece i suoi cugini ricevevano in dono dei confetti bianchi e rossi. Il mattino di Natale i bambini barattavano i dolci, ma Sergio pretendeva per ogni frutto di marzapane due confetti.

Uno schifoso come la madre.

Comunque per il pranzo non si potevano fare figuracce e per di più la morosa veniva dal paese natale di Vigina. Era necessario preparare il fritto misto: era il piatto forte della casa, da poco avevano ucciso il maiale, molte delle portate del fritto sono a base di carne di maiale. 

Ricetta

Il fritto misto piemontese ha trentasei portate: dodici dolci, dodici salate, dodici a base di verdure ma ben pochi lo fanno ancora così ricco. Non è un piatto particolarmente difficile forse il componente più impegnativo è il semolino dolce: si prepara con latte zuccherato e un pizzico di sale grosso, quando il liquido inizia il bollore si versa adagio la dose di semolino. Ancora due minuti di cottura e lontano dal fuoco si aggiunge un tuorlo e limone grattugiato.  In un piatto da portata piuttosto ampio e unto d’olio si versa il semolino, deve riposare alcune ore e quindi tagliato a rombi. 

Nel fritto misto che Vigina prepara ci sono le bistecche di vitello e le braciole di maiale impanate, le animelle e il cervello prima lessate, il fegato, la salciccia, il polmone tagliato a fette e fritto senza impanatura.

Le fette di mele sono passate in un composto liquido fatto con farina bianca, tuorlo, latte e zucchero; gli amaretti si ammorbidiscono intingendoli prima nel latte e poi impanati. 

La sera prima Vigina aveva lessato un cavolfiore e alcuni finocchi che impanati finiscono in padella; le carote cuociono in un pentolino con olio, sale, zucchero, una noce di burro e una foglia d’alloro.

L’unica verdura veloce da preparare sono le fette di limone che servono a sgrassare.

Uno dei componenti più difficili del fritto sono le frise, una sorta di polpette di lunga preparazione: in una pentola con acqua insaporita da sale e foglie di alloro si mettono a cuocere il fegato nero e il fegato bianco (fegato e polmone), la milza e i reni. Tolta la pentola dal fuoco si tritano le frattaglie e si arrichiscono con latte, pangrattato, amaretti, pasta di salsiccia, noce moscata. Per lavorarle più facilmente si avvolgono nella rissola (omento) tessuto adiposo e molto vascolarizzato.

Assaggio

Il fritto misto caldo, saporito, abbondante è stato un successo, Vigina lo sapeva: era uno dei suoi cavalli di battaglia.

La morosa di Sergio è una bella ragazza, anche lei figlia unica, idolatrata dai genitori: si racconta che ogni mattina il padre le dica: ”Aspetta prima di uscire di casa, vedo se fa freddo e se è il caso che tu ti vesta conseguentemente”.

Quando sarà sposata chi farà da barometro?
Dio li fa e poi li accoppia.

Marinella Bera
I nomi: Vigina (Luigina)

Le parole scritte in corsivo sono in dialetto

Il minestrone, che buono!

Vigina, già di primo mattino, aveva messo sulla stufa una pentola con l’acqua e a mano a mano che la primogenita portava le verdure raccolte nell’orto. Vigina e le figlie più piccole le lavavano e le affettavano.
Nella pentola stavano già cuocendo le patate, non era ancora ora di togliere i tuberi e infatti ne avevano sacrificato solo una pianta. Adesso tagliavano a fettine sottili una grossa cipolla, gliele aveva portate suo fratello Giuvanin che faceva il commerciante di bestie e andava a comprare i vitellini nella piana per rivenderli ai contadini che avevano delle mucche da latte. All’inizio della Primavera Giuvanin passava dai fraticelli di Bra e prendeva i cipollotti, li prendeva così presto perché i frati gli avevano insegnato che queste verdure era meglio trapiantarle ad Aprile quando erano “grosse pej d’in fi”(grosse come un fico) che a Maggio già grosse come il braccio.

Adesso era l’ora dei fagioli, una delle verdure che richiedono meno lavoro, basta liberarli dal baccello e ripulirli dalla pellicola che li ricopre. I fagioli erano stati seminati nei filari della meliga (granoturco) così i germogli avevano un tutore a cui avvolgersi per resistere ai venti e ai temporali.

Le carote non erano venute bene quell’anno, Giulia, invece, ne aveva un solco molto lungo e fitte come i capelli in testa e ne cedeva volentieri un cavagnin (cestino piccolo) a Vigina in cambio di due dozzine di uova gallate (fecondate) da mettere in cova. Per andare nel filare dove crescevano le carote, Giulia si era messa le scarpe da festa. Ritornata a casa le avrebbe messe sul davanzale della finestra di cucina, era un trucco per ingannare lo suocero: quella mattina Giulia non era andata a messa. Tutte le feste il padre di suo marito veniva su dalla valle dove abitava e per prima cosa ispezionava le scarpe, se non erano impolverate significava che la famiglia del figlio non era andata a messa.

Il marito di Giulia era arrabbiato con il padre per questa imposizione: in famiglia conoscevano le tante debolezze dell’uomo che spaziavano dalla poca voglia di lavorare alle attenzioni verso le nuore più giovani. I figli lo chiamavano “il crin (maiale) cattolico”.

Dopo che Giulia era andata via con le uova arrotolate nel grembiule, nel pentolone erano finite le verdure che cuociono più in fretta: gli zucchini, un grosso pomodoro e un ciuffo di basilico per profumare, il basilico è l’Estate.

Ora doveva cuocere a fuoco vivace per almeno due ore; prima di portarlo in tavola Vigina vi grattugiava un pezzo di robiola stagionata.

“Moderno” putagè

Tutte le famiglie a Trezzo Tinella preparavano sovente il minestrone, a volte vi aggiungevano le tagliatelle fatte in casa altre volte il pane raffermo. Chi preparava un ottimo minestrone era la madre di Tumò, lo metteva su all’alba, a mezzogiorno era denso, legato, profumato. Il figlio si sedeva e si serviva: ogni volta che riempiva il piatto metteva sul tavolo un fiammifero, il pallottoliere casalingo lo avvertiva quando era ora di smettere.

La gola è peccato.

Marinella Bera

I nomi: Vigina (Virginia), Giuvanin (Giovanni), Tumò (Tommaso)

Alla Cascina Bricchetto Langhe coltiviamo vigneti di uva Moscato che si trasformerà in “Vino Moscato DOCG (Origine Controllata e Garantita)” caratterizzato da profumo e sapore soave con bollicine naturali, o “Spumante Moscato d’Asti DOCG (Origine Controllata e Garantita)” prodotto in versione dolce o demi- sec, secco, rosè ….
Le nostre vigne circondano la cascina che è all’apice della collina, sono la mia passione e posso dire che negli anni ho imparato a conoscere la loro fisiologia e ciascuna singola pianta. 
Il maestro è stato ed è il professor Edoardo Monticelli, direttore dell’Osservatorio Martini & Rossi e della rivista “In vigna – L’eco delle colline dei vigneti Martini”, agronomo riconosciuto come uno dei massimi esperti di viticoltura. A lui ho chiesto la sintesi scritta e fotografica della Fisiologia della vite che leggete di seguito, nella speranza che i molti viaggiatori che arrivano nella nostra area (attratti dalle cose buone e dalla bellezza del territorio) passeggino nelle nostre vigne osservando l’aspetto che hanno in quel periodo dell’anno conoscendo la fisiologia precedente e successiva.

Io sono stata affascinata da questa pianta dalla vita complessa e dai frutti dolci, amo il vino che ne deriva nelle diverse varianti che bevuto in piccola quantità rallegra la vita.
Buona scoperta del mondo delle vigne!

Giovanna

[alert-info]Lo sapevi? A volte le vigne acquisiscono un nome proprio in base alla località (crû Cannubi per il Barolo, Basarin per il Barbaresco) e alla posizione (Sûrì quando hanno la massima esposizione al sole e Aivè con un’esposizione minore)[/alert-info]

Gennaio

Grapes January

I tralci sono parzialmente disidratati
Le funzioni fisiologiche della pianta sono molto ridotte
Le radici sono ricche di riserve

Febbraio

Grapes January

I tralci sono parzialmente disidratati
Le funzioni fisiologiche della pianta sono molto ridotte
Le radici sono ricche di riserve
Verso la fine del mese la vite può già rilevare l’aumento di temperatura a livello delle radici

Marzo

Grapes

Con il riscaldamento del terreno, le radici riprendono la piena attività
Si liberano i vasi conduttori la linfa grezza
Inizia il pianto della vite
Alle gemme sono inviati acqua, ormoni, sali minerali e zuccheri

Aprile

Grapes

Verso la metà del mese inizia il germogliamento
Si sviluppano i germogli che erano già abbozzati all’interno delle gemme ibernanti (prima fase del germogliamento)
L’evoluzione è lenta a seguito delle temperature ancora basse e della limitata attività fotosintetica
L’allungamento dei meritalli è ridotto

Maggio

Grapes

I germogli si allungano sempre più velocemente grazie alla maggiore capacità fotosintetica, alla maggiore luce disponibile e alle temperature più elevate (seconda fase del germogliamento)
Si incrementa la crescita dell’apparato radicale
Si sviluppano le femminelle, il cui vigore è maggiore al di sopra della fascia dei grappoli
La lunghezza delle femminelle decresce procedendo verso l’apice
Le femminelle si orientano verso l’alto
I grappoli di boccioli fiorali si sviluppano fino al completamento della loro lunghezza
In ogni bocciolo si ha il completamento delle strutture riproduttive

Giugno

Grapes

Inizia la fioritura nella prima settimana del mese
L’evoluzione della fioritura è scalare nell’ambito di ogni grappolo
La durata di questa fase è variabile in relazione al clima
La sua rapida evoluzione è normalmente indice di buona fecondazione
Si formano gli acini (fase di allegagione)
L’attività radicale è piena

Luglio

Il grappolo si accresce velocemente nella sua fase erbacea, passando dalla pre-chiusura alla chiusura-verde
La vegetazione rallenta progressivamente la crescita
L’apparato radicale riduce lo sviluppo e si esauriscono le sue riserve
Avviene l’indurimento dei semi
Inizia la traslocazione delle riserve
Inizia e si evolve l’invaiatura

Agosto

Grapes

Si completa l’arresto vegetativo
È il momento di massima resa dell’attività fotosintetica
Si evolve il processo di maturazione dei grappoli
Si giunge alla chiusura di maturazione dei grappoli
I germogli si trasformano in tralci
L’attività radicale è ridotta

Settembre

Grapes

Avviene il completamento della maturazione
In condizioni stagionali ordinarie si completa la lignificazione
La pianta è esposta a forme di stress fino al conseguimento della maturazione fisiologica dei grappoli

Ottobre

Le riserve sono accumulate negli apparati radicali
A seguito del variare delle temperature e della lunghezza delle giornate la pianta inizia la preparazione al periodo di riposo
Le gemme ibernanti entrano nella fase di dormienza irreversibile fino alla primavera
Verso la fine del mese, riprende la crescita dell’apparato radicale

Novembre

Grapes

Lo sviluppo dell’apparato radicale si conclude con vantaggio rispetto alla chioma
La pianta avrà così risorse adeguate per il futuro nuovo germogliamento
Avviene la caduta delle foglie
La pianta completa la sua preparazione all’inverno in condizioni stagionali ordinarie

Dicembre

La pianta completa eventualmente la sua preparazione all’inverno
I vasi conduttori la linfa primaria si occludono parzialmente
I tralci sono parzialmente disidratati
Le funzioni fisiologiche della pianta sono molto ridotte

I componenti  della famiglia Bera, secondo me, presentano tutte le caratteristiche dei Langhetti: originali, creativi, avventurosi e radicati profondamente nella terra, lavoratori tenaci e amanti del buon vivere, aperti alle nuove conoscenze e testimoni delle tradizioni, riservati e disponibili, ciascuno di loro contribuisce a costituire l’insieme di una famiglia forte e dinamica.

La cantina è creazione recente di questa generazione, è giovane più del più giovane dei Bera, era sogno della generazione precedente ora realizzato, da far crescere e affermare. La cura dedicata alle vigne finalmente si manifesta e conclude nella produzione dei vini (altrettanto seguiti) che a me piacciono molto, ad esempio da loro si trova il Dolcetto invecchiato straordinario e raro.

La loro cucina è buonissima, vi consiglio di sperimentarla mentre acquistate il vino!

Giovanna


Il Bosseto: la cantina della famiglia Bera

La famiglia

Il cognome Bera pare derivi dall’ inglese Bear (orso) si ha notizia di una famiglia nobile calata in Italia intorno all’ anno 1000, al seguito delle invasioni barbariche: proveniva dal nord Europa forse dalla Germania o forse dall’ Inghilterra e il suo stemma era appunto un orso, simbolo di potenza, fierezza, astuzia ma anche di crudeltà di durezza e di regalità: fino all’800 era l’orso il re degli animali. Un embrione di questa famiglia si è sviluppato nelle Langhe e noi deriviamo da esso: siamo due fratelli, due sorelle e la mamma accomunati dall’ amore per la terra, la vite e il vino.

L’azienda vitivinicola Il Bosseto

Il Bosseto

Prende il nome dal bosso, un arbusto spontaneo dell’area mediterranea, è un sempreverde con delle piccole foglie ovali lucide e profumate. Il bosso è elemento fondamentale sia dei “giardini all’italiana o giardini formali” caratterizzati da forme geometriche sia “dell’arte topiaria” che realizza figure animali o comunque ricche di particolari complessi, ottenute con sapienti potature dell’arbusto e costante cura. Un esempio tra tutti sono i giardini del castello di Boboli a Firenze, molto in piccolo ce ne sono tracce anche intorno ai castelli delle Langhe (Govone, Serralunga, Magliano Alfieri), un tempo circondava anche le vecchie chiese ed era utilizzato come siepe per delimitare gli spazi nei giardini- orti dei monasteri. L’ azienda è in effetti è collocata nello spazio dove un tempo esisteva un potente Monastero dedicato a S. Alessandro.

Il bosso è un arbusto che cresce lentamente, è paziente e tenace, qualità che noi apprezziamo e cerchiamo di fare nostre.

L’azienda

è situata tra il confine di Trezzo Tinella e Treiso ed è quasi interamente coltivata a vite. La maggior parte degli impianti sono recenti e nel predisporli abbiamo cercato di lasciare piante e arredi esistenti per rispetto verso chi ci ha preceduti e per non impoverire ulteriormente il paesaggio. Nelle vigne esistono piante di pere Madernassa, mele antiche, muriche, pesche a pasta bianca; ci sono ancora i grandi tini in cemento che servivano per miscelare il verderame con la calce e i pozzi scavati nel tufo che fornivano l’ acqua alla famiglia; ci sono alcuni muretti in pietra e la sota: un piccolo stagno dove si allevavano le carpe. Le vigne sono circondate dalle rocche, i calanchi tipici delle Langhe dove crescono querce, gaggie (robinie), olmi e pini. Il Bosseto è orientato verso una coltivazione biologica, da anni non usiamo più diserbanti e i trattamenti sono a base di verderame e zolfo per  coltivare i vitigni tipici di questa zona: Moscato, Dolcetto, Nascetta

I nostri vini: particolarità, aneddoti e ricordi.

Il Moscato

MoscatoFino a pochi anni fa non aveva la popolarità che ha adesso ma la nostra famiglia lo ha sempre coltivato: i nonni paterni provenivano da Castagnole e da Castiglione Tinella, paesi nel quali questo vitigno è sempre stato presente. Uno dei nostri ricordi da bambini è legato al succo dolcissimo che filtrava lento dai sacchi olandesi. Si cominciava a filtrare pochi giorni dopo della vendemmia, verso la fine di ottobre e più l’ uva era dolce e più il mosto aveva bisogno di essere filtrato. I sacchi olandesi si intasavano sovente e così le donne, dopo cena uscivano nell’ aria frizzante e ventosa di metà autunno e li lavavano in grandi mastelli vicino alla cisterna. Il Moscato si beveva soprattutto in estate o in occasioni particolari come quando veniva il parroco a benedire, le poche famiglie del paese che lo producevano garantivano alle due parrocchie il vino per le celebrazioni dato il basso contenuto alcolico.

L’appezzamento di vigne Moscato è stato impiantato nel 1953 con i filari stretti che a malapena ci passava un bue: non amiamo sentircelo dire ma a volte rasentiamo il masochismo, poiché tutti i lavori debbono essere svolti manualmente non essendoci abbastanza spazio – tra un filare e l’altro – per il trattore.

Ora noi produciamo vino Moscato D.O.C.G.( Denominazione di Origine Controllata Garantita)  detto a tappo raso per distinguerlo dallo spumante, e abbiamo chiamato Ambrosia quello ottenuto da un mosto di uve stramature… l’ abbiamo chiamato Ambrosia come era chiamato il nettare degli dei.

Il Dolcetto

DolcettoE’ un vitigno autoctono delle Langhe e del Monferrato, a bacca rossa e le sue D.O.C. ( Denominazione di Origine Controllata)  prendono il nome dalle zone di coltivazione, ad esempio Dolcetto d’Alba, Dolcetto di Dogliani. È un’ uva delicata, difficile, esigente sia in vigna che in cantina. Il nome è ingannevole probabilmente gli deriva dal sapore degli acini, quelli sì, dolci e zuccherini. Il Dolcetto è un vino elegante, appagante, un vino a tutto pasto. A metà del secolo scorso era il vino più apprezzato, amabile, meno impattante e corposo del Barbera. Nelle famiglie di questa zona i parti avvenivano in casa e dopo il lieto evento si festeggiava sempre con un bicchiere di Dolcetto e anzi sei il nato era un maschio che garantiva la continuazione del cognome, arrivato magari dopo una o due femmine, era lo suocero che lo offrirà alla nuora. Quando i particolari (ITALIANO?), in Primavera venivano a comprare le damigiane di Dolcetto da imbottigliare nella luna nuova di Marzo, pretendevano il pranzo a base di bollito abbondantemente accompagnato dal Dolcetto dell’annata precedente.

Il Bosseto produce un Dolcetto novello e uno invecchiato. L’uva del Dolcetto sovente ha problemi di cascola: una volta non si sprecava niente e i vendemmiatori prima di recidere Il grappolo si cautelavano usando la votazza dove far cadere gli acini che si staccavano. Ai bambini veniva comandato di ripassare il sotto-fila e salvare il poco che era rimasto: gli infelici confidavano nelle galline.

Il Nascetta

NascettaE’ un vino bianco dal un gusto minerale, era già presente su queste colline coltivata con altri vitigni a bacca bianca, , magari col Timorasso, il Malvasia, e il Livertiin così aspro che le massaie dell’alta Langa lo usavano al posto del Caglio, per anni queste uve sono state pigiate assieme così quando si è scoperta la potenzialità di questo vitigno nessuno più ricordava come si doveva vinificare.

Oggi sono pochi gli agricoltori che lo coltivano: di terra per impiantare nuovi vigneti non ce n’è più.  Ogni produttore, ora, vinifica in modi diversi: sul mercato ci sono Nascetta diverse tra di loro e questo è un valore aggiunto.

Informazioni tecniche dettagliate http://www.ilbosseto.it/

Merenda “sinoira”

Ora le Langhe sono una terra invidiata dal mondo per i vini, il tartufo, le nocciole, il paesaggio, ma fino agli anni ‘70 la realtà economica di questi paesi era ben diversa, tutte le famiglie allevavano, maiali, polli e conigli e avevano bisogno di prati e di grano. I prati si falciano soprattutto d’Estate, il grano si miete solo d’Estate e l’Estate era la stagione più faticosa, il lavoro manuale era tanto e gravoso. le persone che lavoravano nei campi sfruttavano tutte le ore di luce e per sostenersi avevano bisogno di cibo.  La “massaia” dedita a sorvegliare i bambini e le covate, a metà pomeriggio preparava il cestino e lo portava agli uomini e alle donne che sudavano nei campi. Queste “merende sinoire” erano consumate più tardi di quelle canoniche ed erano a base di cibi sostanziosi, abbondanti e facilmente reperibili.

Noi avevamo il vino Moscato e le uova, la nonna preparava uno zabaglione freddo: in una ciotola sbatteva i tuorli di 10 uova con lo zucchero, a questa crema arancione aggiungeva le chiare montate a neve e ci versava dentro una bottiglia di Moscato fresco. Ogni presente aveva diritto a una scodella nella quale intingeva le fette di pane, dopo la merenda i lavoratori riprendevano le loro mansioni fino al crepuscolo ora di cena. Ora ai clienti che vengono in Cantina riproponiamo queste merende per ospitalità, perché i vini sono legati a doppio filo ai prodotti del territorio, perché il cibo rinsalda conoscenze e rafforza i legami. I piatti sono quelli tradizionali: minestre, gnocchi, marmellate, uova in carpione, friciulin (frittelle di patate), frittate con erbe selvatiche, bagnet (salse) e bunet (budino).

Venite a trovarci, vi aspettiamo!

Marinella Bera

Le Cattedrali Sotterranee … del vino?

Ci sono cattedrali sotto gli occhi di tutti perché le loro guglie puntano al cielo, Milano, Colonia, Westminster …, e ve ne sono altre che si sviluppano sottoterra e se non te lo dicono e se poi non scendi e vi entri proprio non le vedi. Succede a Canelli nell’Astigiano, capitale dello spumante italiano da quando nel 1850 Carlo Gancia vi importò il metodo “champenoise” dalla Francia.

Recentemente ribattezzate “Cattedrali Sotterranee”, poiché presentano: navate – deambulatori – transetti e si aprono in ampie crociere proprio come le Grandi Cattedrali costruite in superficie, sono autentici capolavori di architettura realizzati in mattoni a vista dentro il tufo delle colline.

La loro spettacolare bellezza, la loro unicità e storicità, composte da gallerie, cunicoli, lunghi corridoi e ampie volte valorizzate da un sapiente gioco di luci che sottolinea il monumentale lavoro di scavo e mette in risalto, in alcuni punti, il tufo di Canelli.

Edificate con ogni probabilità a partire dal XVIII secolo come piccole cantine di conservazione, rimaneggiate e ingrandite nel corso dei secoli fino alle ristrutturazioni e alle sistemazioni moderne, si sviluppano nel sottosuolo di Canelli. Le cattedrali, 15 chilometri di gallerie che arrivano fino a 40 metri di profondità, sono state strappate al tufo per conservare i prodotti della terra, ma anche il sale e tutto quello che viaggiava sulla via per Savona e Vado Ligure, storici sbocchi al mare di Canelli che fungeva da snodo commerciale.

Il vino nel tempo ha presto preso il sopravvento su tutto, il tufo calcareo di Canelli è un prezioso alleato: duro da picconare e incredibilmente stabile, funge da perfetto isolante termico, mantenendo un’umidità costante e una temperatura tra i 12 e i 14 gradi, condizioni ideale per l’affinamento dei grandi vini. Per questo, a partire dalla seconda metà dell’800 e durante i primi anni del XX secolo, sotto la città di Canelli vennero scavati diversi chilometri di gallerie. Nelle gallerie non avveniva soltanto lo stoccaggio e l’affinamento dei vini, ma l’intero processo di vinificazione i cui resti (presse, sistemi di filtraggio, tini, botti, macchinari) sono ancora oggi visibili a tangibile ricordo di un tempo passato.

In alcune di queste Cattedrali-cantine (ricordiamo che l’oscurità durante le delicate e lunghe fasi di lavorazione protegge il vino) si producono ancora oggi i più prestigiosi Spumanti con il Metodo classico, a me è capitato durante una visita e può succedere anche a voi di vedere “il cantiniere” lavorare su ogni singola bottiglia (sono molte migliaia) alloggiata nelle “pupitres”, in sintesi le lavorazioni che si svolgono in questi ambienti:

In summary, these are the main stages that are carried out in the production of the wine:

  • le bottiglie vivono la prima fase della loro permanenza in cantina con la “presa di spuma”, quando il vino acquisisce dalla fermentazione il “perlage” e la complessità del bouquet.
  • In seguito le bottiglie vengono trasferite sulle “puprites”, i cavalletti di legno diventati il simbolo del Metodo Classico. Qui ogni giorno il cantiniere ruota di un quarto di giro ogni bottiglia e la inclina lievemente verso l’alto perché i sedimenti si depositino nel collo.
  • Il processo continua con il “degorgement” in cui viene delicatamente tolto il tappo della bottiglia per eliminare il sedimento e nell’ultima fase viene aggiunto il “liqueur d’expedition”, un dosaggio segreto di vini, zucchero di canna e altri ingredienti, che danno l’impronta di stile a ciascuno di questi spumanti.

Le “Cattedrali Sotterranee”,  per la loro bellezza e importanza, sono state riconosciute dall’UNESCO come patrimonio mondiale dell’umanità, nell’ambito dei “Paesaggi vitivinicoli del Piemonte: Langhe – Roero e Monferrato”.

Vi suggerisco di sperimentare di persona la magia di questi luoghi unici e incantevoli!

Al momento sono visitabili su appuntamento:

Sito Prenotazioni
BOSCA cantine@bosca.it
CONTRATTO visite@contratto.it
GANCIA franco.ferrero@gancia.it
COPPO www.coppo.it/cantine

 

Buona visita e degustazioni!

Giovanna

UndergroundLa più antica e grande del paese, viene costruita intorno al 1750 in pietra locale, è un grande complesso situato all’apice di una collina (brichet in lingua locale), è strutturata in un complesso chiuso con ampio portone in legno per consentire un agevole ingresso ai carri e agli animali, le costruzioni si affacciano sulla grande aia ad esclusione della casa padronale che è situata nell’ala ovest con ingresso indipendente.

Il terreno circonda tutta la cascina, aree seminative e a fieno, boschi, orti, frutteti e qualche vigna per circa 100 giornate piemontesi (una giornata piemontese equivale a 3810 metri quadri, antica unità di misura corrispondente al terreno che una coppia di buoi lavorava in un giorno e tutt’ora usata in agricoltura). Le informazioni sono tutte approssimative poiché i documenti sia pubblici che privati sono andati distrutti negli incendi appiccati durante la seconda guerra mondiale.

Le case di abitazione dei lavoranti si affacciavano sulla grande aia così come le stalle, fienili e magazzini, ricoveri per gli attrezzi, i carri e le grandi vasche in legno (arbi in lingua locale) erano alloggiati nei locali sottostanti ai quali si accedeva dal retro della cascina, infine nelle fondamenta scavate nel tufo era stata ricavata una lunga cantina tutt’ora usata.

Durante la seconda guerra mondiale vivevano nella cascina circa 60 persone tra proprietari e lavoranti, vecchi – donne – bambini mentre gli uomini o erano soldati o erano partigiani. Ricordo che queste colline sono state luogo di scontri tremendi tra soldati nazi-fascisti e partigiani, la vicina città di Alba è stata conquistata e “tenuta” dai soli partigiani italiani per 23 giorni, successivamente gli eserciti nazi-fascisti hanno compiuto ritorsioni terribili con azioni di rastrellamento in tutte le Langhe. Una di queste azioni ha coinvolto anche la Cascina Bricchetto, gli abitanti sono stati tutto il giorno al gelo compresi bambini
piccolissimi sotto la minaccia delle mitragliatrici mentre tutte le suppellettili sono state ammucchiate nella grande aia e incendiate, il fuoco si è diffuso ai fienili e alle parti in legno distruggendo tutto ciò che non era pietra, fortunatamente nessuna vittima.

Queste notizie mi sono state date da diverse persone che vivevano qui in quel periodo, nei primi anni dall’acquisto ho avuto la fortuna di svariate visite di signore e signori che avevano vissuto qui da ragazzi ed erano ritornati a “rivedere per l’ultima volta prima dell’ultimo viaggio” (questo hanno detto) il luogo della loro infanzia e giovinezza nella speranza ci fosse ancora qualcosa di riconoscibile. Molti i racconti, molte le emozioni e i loro ricordi che hanno rinforzato ancor più la mia decisione di “conservare” tutto il possibile.

Green Entrance 2
The door and the sky

La cascina devastata dall’incendio ha iniziato il declino, il terreno è stato smembrato e venduto pezzo per pezzo e anche perso al gioco d’azzardo, molti i passaggi di proprietà interessati a null’altro che al denaro da ricavare. Gli edifici non interessavano a nessuno, molto era ridotto a mucchi di pietre …

La bellezza mozzafiato del luogo, amore folle, incoscienza, sfida e molto altro sono stati il sottofondo e la molla per l’acquisto avvenuto nel 1955, da allora lavoro e lavoro hanno ridato vita alla cascina e al terreno che la circonda coltivato a vigna, molto c’è ancora da fare …

Svariate le azioni di salvataggio dell’antico cascinale, una di queste ha riguardato le porte delle fotografie (alcune ricostruite con pezzi di altre porte), porte aperte a te… e a tutti i romantici, ti aspetto!

Giovanna

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Cascina Bricchetto Langhe
Via Naranzana 22, Trezzo Tinella (Cuneo)
Tel: +39 0173 630395
Mobile: +39 339 3932189
e-mail: info@cascinabricchetto.it
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Benvenuti

Ogni mattina aprendo le imposte esclamo: "bellissimo il Monviso con il sole, oppure stupendo questo cielo nuvoloso, o magico il mare di nebbia, o ancora fiabesca la nevicata" e la sera nel rinchiuderle – vedendo nelle colline di fronte le luci dei paesi (Diano d'Alba, La Morra ecc.) e le luci delle case sparse nelle colline – ringrazio la buona stella che mi ha condotto fin qui, dove la bellezza ti avvolge. (Leggi tutto)

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