Le parole scritte in corsivo sono in dialetto

Il minestrone, che buono!

Vigina, già di primo mattino, aveva messo sulla stufa una pentola con l’acqua e a mano a mano che la primogenita portava le verdure raccolte nell’orto. Vigina e le figlie più piccole le lavavano e le affettavano.
Nella pentola stavano già cuocendo le patate, non era ancora ora di togliere i tuberi e infatti ne avevano sacrificato solo una pianta. Adesso tagliavano a fettine sottili una grossa cipolla, gliele aveva portate suo fratello Giuvanin che faceva il commerciante di bestie e andava a comprare i vitellini nella piana per rivenderli ai contadini che avevano delle mucche da latte. All’inizio della Primavera Giuvanin passava dai fraticelli di Bra e prendeva i cipollotti, li prendeva così presto perché i frati gli avevano insegnato che queste verdure era meglio trapiantarle ad Aprile quando erano “grosse pej d’in fi”(grosse come un fico) che a Maggio già grosse come il braccio.

Adesso era l’ora dei fagioli, una delle verdure che richiedono meno lavoro, basta liberarli dal baccello e ripulirli dalla pellicola che li ricopre. I fagioli erano stati seminati nei filari della meliga (granoturco) così i germogli avevano un tutore a cui avvolgersi per resistere ai venti e ai temporali.

Le carote non erano venute bene quell’anno, Giulia, invece, ne aveva un solco molto lungo e fitte come i capelli in testa e ne cedeva volentieri un cavagnin (cestino piccolo) a Vigina in cambio di due dozzine di uova gallate (fecondate) da mettere in cova. Per andare nel filare dove crescevano le carote, Giulia si era messa le scarpe da festa. Ritornata a casa le avrebbe messe sul davanzale della finestra di cucina, era un trucco per ingannare lo suocero: quella mattina Giulia non era andata a messa. Tutte le feste il padre di suo marito veniva su dalla valle dove abitava e per prima cosa ispezionava le scarpe, se non erano impolverate significava che la famiglia del figlio non era andata a messa.

Il marito di Giulia era arrabbiato con il padre per questa imposizione: in famiglia conoscevano le tante debolezze dell’uomo che spaziavano dalla poca voglia di lavorare alle attenzioni verso le nuore più giovani. I figli lo chiamavano “il crin (maiale) cattolico”.

Dopo che Giulia era andata via con le uova arrotolate nel grembiule, nel pentolone erano finite le verdure che cuociono più in fretta: gli zucchini, un grosso pomodoro e un ciuffo di basilico per profumare, il basilico è l’Estate.

Ora doveva cuocere a fuoco vivace per almeno due ore; prima di portarlo in tavola Vigina vi grattugiava un pezzo di robiola stagionata.

“Moderno” putagè

Tutte le famiglie a Trezzo Tinella preparavano sovente il minestrone, a volte vi aggiungevano le tagliatelle fatte in casa altre volte il pane raffermo. Chi preparava un ottimo minestrone era la madre di Tumò, lo metteva su all’alba, a mezzogiorno era denso, legato, profumato. Il figlio si sedeva e si serviva: ogni volta che riempiva il piatto metteva sul tavolo un fiammifero, il pallottoliere casalingo lo avvertiva quando era ora di smettere.

La gola è peccato.

Marinella Bera

I nomi: Vigina (Virginia), Giuvanin (Giovanni), Tumò (Tommaso)